Atacama Crossing 2008 |
In gara
Parto esattamente come ieri, penso che la tappa sia lunga 74 km, il terreno è molto più difficile ma va bene, questo terreno è uguale per tutti, se è difficile per me è difficile anche per gli altri.
Scendo lungo un canyon molto alto alla cui base scorre un piccolo fiume che attraversa una zona coltivata.
Siamo costretti a guadarlo più volte e in alcuni tratti a camminarci dentro perché le pareti finiscono ai bordi del fiume, è di una bellezza incantevole a quell’ora del mattino e con quella luce.
Attraverso una distesa deserta lunghissima e ondulata di circa 14 km ma ottima per le mie caratteristiche di corsa, la faccio tutta senza mai fermarmi un momento, sono tra i primi 15, ma come sempre mi dico che la corsa inizia a metà distanza e solo nell’ultimo tratto si vede chi resiste.
Poi inizia l’inferno, il Salar dell’Atacama, 14 km di crosta di sale simile per aspetto ad una barriera corallina da attraversare, un terreno dall’aspetto lunare che riflettette la luce del sole dal basso essendo bianco, e dove ogni passo frantuma la crosta di sale e ti fa sprofondare di qualche centimetro dentro una specie di fango salato, per ore ed ore il piede non appoggerà mai in una superficie piana e le mie caviglie sempre indolenzite alzeranno più volte bandiera bianca per chiedere la resa. È difficile mettere un passo di fronte all’altro.
È in questi momenti che subentrano aspetti non più fisici della corsa, fa caldo, hai male, sei in mezzo al nulla, c’è un po’ di desolazione nei tuoi pensieri, ma per nessun motivo la tua mente ti permette di staccare qualsiasi spina, è sempre cosi, ormai dopo quattro deserti l’ho provato più volte, quando pensi di non averne più e di essere arrivato alla fine avviene la magia, si aprono nuove riserve energetiche, l’organismo trova un nuovo equilibrio, forse in un’altra dimensione, ti senti bene e trovi un ritmo che magari non saresti riuscito a tenere neanche all’inizio, chiamala adrenalina chiamale endorfine che arrivano in tuo aiuto, le senti veramente scorrere nel tuo corpo e darti fiducia e sostegno.
In questo terreno supero anche molti amici, nell’ultimo tratto mi trovo di fronte Dean, che seguirò fino all’ultimo CP.
Gli ultimi Km invece li faccio praticamente da solo, lui se ne va e arrivo 4° al campo, qui mi si avvicina e come fanno negli USA mi offre il suo pugno per incontrare il mio, si congratula con me e gli dico che è stato un onore correre dietro a lui nel finale, mi abbraccerà calorosamente.
Dopo circa un’ora una tempesta di sabbia vento e pioggia si abbatte sul campo, siamo in tre dentro la tenda che la teniamo con i piedi, comunque distrugge tutto. Alla fine la nostra tenda non sarà utilizzabile e ci sposteranno in una dell’organizzazione, sono le 18,19, ho fame è ora di preparare la cena.
Ogni sera è come essere al cinema in prima fila a guardare un documentario della National Geographics solo che è tutto molto più VERO. Non mi stanco mai di vivere il campo, penso a chi arriva quando sta per fare buio e deve recuperare, mangiare e poi dormire per correre nuovamente l’indomani, mi sento fortunato per trascorrere questa parte della giornata in perfetta armonia con l’ambiente che mi circonda.
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